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Immagine del redattoreAraldi del Vangelo

Inno di sapienza, umiltà e grandezza.



La promessa fatta ad Abramo si era appena compiuta: la Madonna portava già nel suo chiostro materno l’Atteso delle Nazioni. Ispirata dall’Altissimo, Ella compose questo meraviglioso canto, inestimabile gioiello di lode a Dio.

Plinio Corrêa de Oliveira

Intonato dalla Madonna nell’incontro con Santa Elisabetta, il Magnificat è un meraviglioso inno ispirato dall’Altissimo, nel quale Dio canta la propria gloria attraverso le labbra della più amata delle sue figlie. Si tratta anche di un messaggio bello, coerente, logico e serio, trasmesso agli uomini di tutti i secoli, per mezzo della voce verginale di Maria.


L’esultanza in Dio, suo Salvatore


Il canto inizia con la parola magnificat – dal latino magnus, cioè, grande – per esaltare Colui che è la Grandezza personificata. Si riconosce così che Dio merita questo superlativo di lode e di onore nella sua gloria estrinseca, passibile di crescita, per aver realizzato in Lei, Vergine benedetta, il compimento della più grande e più promettente promessa divina fatta all’umanità: l’Incarnazione del Verbo.


La Sua anima si affretta a far traboccare il suo sentimento di profonda gratitudine, proclamando come il Signore Si rivelasse in questo modo il Magnus per eccellenza. E, in seguito, viene la gioia: “Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo – E il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”.


Esultare significa provare un intenso giubilo, non una soddisfazione qualsiasi, come potrebbe sperimentare uno se sapesse che i suoi investimenti hanno reso un po’ più del previsto. Questa sarebbe una gioia piccola, confrontata con quella che è espressa con la parola esultanza. Ecco perché la Madonna la usa per significare come il suo spirito avesse traboccato di gioia in relazione a Dio, il suo magnifico Salvatore.


Questa felicità si mostra tanto più intensa quanto, conformemente al pensiero che si completa nel versetto successivo, Ella considera la sua piccolezza e vede come Dio l’abbia salvata in un modo straordinario, sovraeccellente, non solo facendo di Lei la Madre del Verbo Incarnato, ma disponendo che Lei avesse in tutta l’esistenza di Nostro Signore Gesù Cristo il ruolo mirabile che conosciamo.


Legittima gioia per essere stata ingrandita

Dopo aver affermato la sua esultanza, la Santissima Vergine manifesta allora il motivo di questa immensa gioia: “Quia respexit humilitatem ancillæ suæ – Perché guardò all’umiltà della sua Serva”.


Come conseguenza di questa attenzione del Signore nei Suoi confronti, “ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes”, ecco che “tutte le generazioni”, cioè, tutti gli uomini fino alla fine del mondo, La glorificheranno a loro volta, chiamandoLa “beata”.


“Quia fecit mihi magna qui potens est – Perché Mi ha fatto grande Colui che è potente”. Si capisce qui, ancora una volta, il gaudio di Maria per esser stata oggetto di uno speciale disegno dell’Onnipotente: Ella, così umile, diventò grande per la forza di Lui. C’è in questo passo un insegnamento interessante che deve essere considerato. Rallegrandosi della grandezza di Dio, la Madonna allo stesso tempo gioisce per il fatto di essere stata anche magnificata dalla condiscendenza di Lui, e sa che questa sua grandezza Le sarebbe valsa la lode e la devozione delle generazioni future. È una gloria unica, che La copre di felicità e per la quale, piena di gratitudine, ringrazia Dio.


Ora, questa attitudine della Madonna che accetta, che percepisce e ama la propria eccellenza, dimostra com’è legittimo rallegrarsi della grandezza che Dio può eventualmente concederci. Purché, sull’esempio di Maria, questo giubilo sia radicato nell’amore verso di Lui, comprendendo che tale gloria stabilisce una relazione più intima tra noi e il Creatore.


“Et sanctum nomen eius – E il suo nome è santo”. Cioè, “Dio ha agito così con me, e ha proceduto santamente”. Questa favolosa opera che il Signore realizzava nella sua Serva, veniva contrassegnata dall’infinita perfezione con cui Egli modella tutto quanto esce dalle sue mani onnipotenti.


VANGELO DELLA VISITAZIONE

41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo. 42 Ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!. 43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. 46 Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore, 47 e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48 perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, 49 Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: 50 di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. 51 Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. 54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre” (Lc 1, 41-55)

Visitazione, del Maestro di Perea Museo del Prado, Madrid


Misericordia verso coloro che temono Dio


Dopo aver manifestato in tal maniera la grandezza di Dio e la sua propria, la Madonna evoca l’aspetto della bontà: “Et misericordia eius a Visitazione progenie in progenies, timentibus eum – E la Sua misericordia si estende di generazione in generazione, su coloro che Lo temono”.


Significa che il fatto che Dio L’abbia fatta così grande ridonda in un beneficio e in un’opera di misericordia di cui si gioveranno tutti gli uomini in tutte le epoche della Storia. Con una restrizione, però: “timentibus eum – coloro che Lo temono”.


Ecco un’altra importante lezione da cogliere nel Magnificat. Il timore si divide in servile e reverenziale. Il timore servile è quello che ha, per esempio, uno schiavo quando fa la volontà del suo padrone per paura di ricevere duri castighi se non obbedisce. Il timore reverenziale è quello che uno dimostra in relazione all’altro, non per paura delle sanzioni che gli possa infliggere, ma per rispetto e venerazione per la sua superiorità, non volendo oltraggiarlo o violare l’obbedienza che deve a lui.


Un esempio meraviglioso di timore reverenziale lo troviamo nelle ardenti parole che Santa Teresa di Gesù rivolge a Nostro Signore: “Anche se non ci fosse il Paradiso, Ti amerei lo stesso; anche se non ci fosse l’inferno, pure Ti temerei”. In altre parole, anche se Dio non gettasse nella Geenna quelli che si ribellano contro di Lui, in quanto Lui è quello che è e per i titoli infiniti che Egli possiede sopra di noi, avremmo paura di non fare la Sua volontà. È questa la forma più alta e più nobile di timore reverenziale.


Allora, a coloro che amano Dio con un amore tale che persino Lo temono– non soltanto a causa dell’inferno, ma soprattutto per non dispiacerGli nella sua infinita santità –, per costoro si apre l’inesauribile misericordia di Dio: “Et misericordia eius a progenie in progenies, timentibus eum”.


Va notato che, molte volte, la bontà divina non si attacca a questa restrizione, superando se stessa in raffinatezze di sollecitudine anche verso gli uomini che sperimentavano poco o nessun timore di Dio, prima di essere toccati dalla grazia e di convertirsi.


Si può supporre, per esempio, che San Paolo sulla via di Damasco non avesse timor di Dio. Ma, colpito da un fulmine, cadde da cavallo, perse la vista e subito udì la voce di Nostro Signore che lo interpellava. Quando si alzò, era un altro uomo, diventando il grande Apostolo delle genti. Una straordinaria azione della misericordia divina – molto probabilmente su richiesta di Maria – si era diffusa su un’anima che fino ad allora non aveva temuto Dio.


Caduta dei superbi ed esaltazione degli umili


“Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis suis – Manifestò il potere del suo braccio, e dissipò coloro che si vantavano dei pensieri del loro cuore”.


Intendiamo quello che significa “manifestò il potere del suo braccio”. Si tratta di una metafora, poiché Dio, puro spirito, non possiede braccio. Questo, tuttavia, è nell’uomo il membro con cui mostra la sua forza ed esegue i decreti della sua intelligenza e della sua volontà. Allora, riferendosi al “braccio di Dio”, la Madonna ci fa vedere come Lui agisca energicamente verso i superbi e orgogliosi, coloro che si chiudono all’azione della grazia e non Lo temono né Lo amano nei loro cuori. A questi, Dio manifesta il potere del suo braccio. 


Il pensiero si completa nel versetto seguente: “Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles – Depose dai loro troni i potenti, ed esaltò gli umili”.


Per mezzo dell’Incarnazione del Verbo, Dio spezzò il potere con cui il demonio e i suoi seguaci in questo mondo tormentavano i buoni. Allora, depose quelli dai loro troni, ed esaltò questi che erano perseguitati.


Qualcuno potrebbe obiettare che nel giudizio di Nostro Signore accadde il contrario, poiché Anna, Caifa, Pilato e consimili si trovavano sui loro troni quando Lo perseguitarono e Lo uccisero.


È vero. Ma questa storia non è raccontata fino alla fine. Perché dopo che Gesù fu ucciso, accadde proprio ciò che questi uomini potenti volevano evitare: Egli risuscitò, trionfando sulla morte e su tutti i suoi carnefici. Con Lui, trionfava la Santa Chiesa, vincevano gli Apostoli e la Madonna, gli umili fino ad allora disprezzati. E per sempre, questi saranno glorificati ed esaltati, mentre Anna, Caifa e Pilato saranno vituperati e menzionati con orrore. Allora si confermò la veridicità del detto: “Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles”.


Questa idea ancora prevale nel seguito del canto: “Esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes – Cumulò di beni gli affamati, e mandò via i ricchi a mani vuote”.


La Madonna non vuole fare qui un’allusione alle risorse materiali o finanziarie. Ella Si riferisce, innanzitutto, a coloro che si trovano carenti di beni spirituali, agli indigenti di doni celesti. I poveri di spirito che, umilmente, supplicano queste grazie, Dio li esaudisce nell’abbondanza infinita della sua misericordia. Al contrario, i “ricchi”, quelli che si ritengono interamente soddisfatti nel loro orgoglio, Egli li manda via a mani vuote, cioè, senza renderli partecipi del tesoro dei suoi doni soprannaturali. 


In Maria, si compie la promessa fatta ad Abramo

La Madonna del Soccorso, di Bernardino Mariotto – Museo Civico di Morrovalle (Macerata)


Infine, la Madonna torna all’idea centrale che ispira questo inno meraviglioso: “Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiæ suæ – Si prese cura di Israele, suo servo, memore della sua misericordia”.


In altre parole, il popolo eletto avrebbe presto ricevuto il Messia promesso da millenni e che Dio avrebbe inviato al mondo, ricordando che la sua misericordia così aveva disposto. Di qui la conclusione: “Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in sæcula – Come aveva detto ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”.


La promessa fatta ad Abramo, fondatore della stirpe ebraica, e ai suoi discendenti nel corso dei secoli, che il Salvatore sarebbe nato dalla sua progenie, si era appena compiuta. La Madonna portava già nel suo chiostro materno l’Atteso delle Nazioni. Lei, una figlia di Abramo, avrebbe dato alla luce il Figlio di Dio.


E così il Magnificat, questo gioiello inestimabile, questo meraviglioso canto di saggezza, umiltà e grandezza, si chiude molto armoniosamente pensando all’Incarnazione del Verbo, come aveva fatto nella prima strofa.

Tratto, con piccoli adattamenti, dalla rivista “Dr. Plinio”. São Paulo. Anno VI. N.64 (Luglio 2003); p.21-24

Fonte: Rivista Araldi del Vangelo – Maggio 2019

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