La Grotta (recitare il 17 dicembre)
I Vangeli non descrivono con precisione il luogo della nascita di Gesù. Sappiamo solo che il grande evento ebbe luogo a Betlemme, la “casa del pane”, bella profezia della futura istituzione della Sacra Eucarestia. Ci sono pochi altri particolari. Luca fa appena un riferimento alla mangiatoia dove fu deposto il Bambino, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7). Si trattava dunque di un posto più riservato e discreto, adatto ad accogliere nel silenzio e nella riservatezza l’avvenimento centrale della Storia: il Figlio di Dio che, uscendo in forma miracolosa dal seno verginale di Maria, compare sul palcoscenico del mondo, rallegrando gli occhi dei giusti e irritando quelli degli empi.
San Matteo ubica la scena dell’adorazione dei Magi in una casa nella quale quei re trovano il Bambino e la Madre. È molto probabile, comunque, che la nascita di Gesù e l’adorazione dei Magi si siano svolte in degli scenari differenti, poiché dopo la venuta alla luce del Bambino in un luogo pressoché precario, San Giuseppe con ogni probabilità riuscì a trovare una sistemazione più sicura e degna per la Madre e il Figlio.
Invece, la mangiatoia, citata da San Luca per due volte come testimone della nascita del Primogenito di ogni creatura, richiama l’idea della stalla, posto adibito per disporvi il bestiame. Ora, in quei tempi solitamente le grotte erano usate proprio per questa finalità. Molte, infatti, erano in connessione con le case costruite a ridosso delle pareti rocciose delle montagne. Mons. João Scognamiglio, nel suo libro su San Giuseppe, descrive il luogo della nascita del Messia come una grotta abbandonata su un colle, usata sporadicamente da rifugio per le greggi. Tale grotta fu frequentata da San Giuseppe durante la sua fanciullezza per saziare la sua sete di solitudine e di contemplazione.
La grotta, in ogni modo, è immancabile nei nostri Presepi. Rimanda all’idea del nascondimento del Figlio di Dio appena nato, lo protegge evitando ai potenti del mondo di accorgersi della sua nascita perché di Lui non erano degni. Così il Padre Eterno dispose che il Verbo incarnato comparisse nel mondo in una spelonca ignorata dalla maggior parte della gente, per essere visto soltanto da coloro che per l’umiltà dei cuori avrebbero guardato il Bambino con occhi di fede.
In senso mistico, tale scenario richiama un passo dell’Antico Testamento che ha come protagonista l’igneo profeta Elia: per mezzo di un sacrificio consumato miracolosamente dal fuoco disceso dal Cielo, Elia manifestò a Israele che l’unico suo Dio era il Signore. Dopodiché, lui stesso giustiziò i numerosi sacerdoti di Baal. In seguito, la pessima Regina Gezabele, promotrice dell’idolatria in Israele, giurò per se stessa che avrebbe ucciso l’unico profeta fedele. Questi fuggì verso l’Oreb dove arrivò dopo quaranta giorni e quaranta notti di cammino grazie all’ausilio di un angelo che gli fornì per due volte una focaccia di pane e acqua.
Arrivato al monte di Dio, Elia entrò in un grotta, per passarvi la notte, quando gli fu rivolta la parola del Signore che gli ordinò: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore” (1Re 19, 11). Allora “ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco che il Signore passò. Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: «Che cosa fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita»” (1Re 19, 12-14).
Questo passo mostra in modo folgorante un profeta integro, tutto d’un pezzo, dedito esclusivamente alla gloria del Signore, ma, al contempo, perseguitato dagli iniqui che vogliono eliminarlo perché scomodo, anzi, perché per loro è insopportabile. I figli delle tenebre, infatti, non tollerano un uomo che è in qualche modo parola vivente di Dio, perché rappresenta un rimprovero costante alle cattive azioni da loro messe in pratica. In conseguenza, l’odio cresce come un’onda minacciosa, e in quei momenti il profeta sembra abbandonato davanti al pericolo, ma solo in maniera apparente. Il Signore lo mette alla prova ma rimane sempre con lui. Così a Elia fu comandato di scendere dal monte Oreb per ungere nuovi re in Giudea e in Israele, e un profeta, suo successore. È l’opera divina che non sarà mai arrestata dal male, poiché come annunciò allora il Signore: “Io, poi, mi sono risparmiato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l’hanno baciato con la bocca” (1Re 19, 18).
Anche Gesù Bambino, nel suo divino candore, fu bersaglio dell’odio più violento sin dai primi momenti della sua vita sulla terra. Anzitutto Erode, il crudele tiranno, voleva assassinarlo. Ma non solo. Alle sue spalle i farisei e il Sinedrio tramavano scontenti… Poche erano le anime dei giudei che non avevano piegato le ginocchia davanti alle nuove versioni di Baal. Da quei pochi giusti, e solo da loro, il Bambino volle farsi vedere nello splendore maestoso della sua tenera innocenza.
E Gesù, come Elia, sarà di scandalo agli anziani del Tempio a causa del suo zelo per la Casa del Padre. E anche Lui vorranno eliminare proprio perché metteva Dio sopra gli altri “dei” adorati dai potenti di Israele: i soldi e la gloria umana.
Possa servire la grotta del nostro Presepe ad elevare la nostra mente a pie considerazioni. Ci ricordi che essa è un luogo privilegiato per trovare Dio, e, nel nostro caso, per scoprirlo proprio nel Figlio incarnato, appena nato tra le braccia di Maria. Ci ricordi inoltre, che il bene è perseguitato a morte ma vince sempre, purché sia pieno di zelo per il Signore, Dio degli Eserciti.
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