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Sant Antonio Maria Claret

Consumato dalla sete di anime


Ardente di carità, rispose con umiltà e grandezza al richiamo divino di essere missionario, sfidando con orgoglio le più difficili situazioni, per il bene delle anime e la gloria di Dio.



“Avendomi chiesto padre José Xifré, Superiore dei Missionari Figli del Cuore di Maria, diverse volte, verbalmente e per iscritto, una biografia della mia insignificante persona, mi sono sempre sottratto, e anche oggi non mi sarei deciso a scriverla se lui non me lo avesse richiesto. Solamente per obbedienza lo faccio e per obbedienza rivelerò cose che avrei preferito mantenere ignorate. Sia questo, invece, per la maggior gloria di Dio e di Maria Santissima, mia dolce Madre, e confusione per questo miserabile peccatore”.


Iniziando la sua Autobiografia con queste parole, Sant’Antonio Maria Claret mise in chiaro che avrebbe raccontato l’azione di Dio nella sua vita soltanto per la necessità di obbedire alla voce del superiore generale dell’ordine… da lui stesso fondato! Tale è la forza della santa obbedienza, anche per un fondatore! Nel frattempo, afferma il suo confessore: “Chi avesse conosciuto il Servo di Dio come io lo conoscevo, comprenderebbe facilmente, leggendo le sue suddette annotazioni, che egli dice meno di quel che tace, volendo in questo modo, senza dubbio, compiere il precetto imposto dall’obbedienza senza pregiudicare la sua profonda umiltà”. Malgrado ciò, resta consegnata alla Storia una vita segnata dalla grandezza dell’umiltà, e la sua penna rivela i più bei contrasti armonici di una personalità impari che visse una buona parte del XIX secolo, in un’esistenza proficua in fatti memorabili.

Meditare sull’eternità: semente del missionario


Nato in una famiglia dalle profonde radici religiose, dice il Santo a proposito della sua prima infanzia: “La Divina Provvidenza ha sempre vegliato su di me in forma particolare”. È interessante notare che, nel raccontare la sua origine, menziona la piccola Sallent, dove nacque, nella Diocesi di Vic, provincia di Barcellona, come pure i suoi genitori, Juan Claret e Josefa Clará — che qualifica come “onorati, timorosi di Dio, molto devoti del Santissimo Sacramento dell’Altare e di Maria Santissima” —, ma non la data della sua nascita, soltanto quella del Battesimo: 25 dicembre 1807.

Le prime idee di cui ha memoria risalgono ai suoi cinque anni. Avendo ricevuto dai genitori le prime nozioni di bene e male, Cielo e inferno, trascorreva notti insonni e si metteva a pensare all’eternità: “Sempre, sempre, sempre; immaginavo distanze enormi, e a queste se ne aggiungevano altre e altre ancora, e vedendo che non raggiungevo la fine, rabbrividivo e pensavo: coloro che hanno la disgrazia di andare all’eternità della pena, non smetteranno mai di soffrire, sempre patiranno? Sì, sempre, sempre dovranno penare!”. E si doleva dal fondo dell’anima.

Questo pensiero fu il motore, “la molla e il pungolo del mio zelo per la salvezza delle anime”, dell’apostolato a favore della “conversione dei peccatori, nel pulpito, nel confessionale, per mezzo di libri, stampe, foglietti, conversazioni familiari”. Infatti, “vedendo la facilità con cui si pecca, la stessa con cui si prende un bicchiere d’acqua, con una risata o per divertimento; vedendo la moltitudine di persone continuamente in peccato mortale e che vanno così camminando verso la morte e verso l’inferno, non posso avere riposo, ho bisogno di correre e gridare”. A questa preoccupazione per la salvezza delle anime, non tardò a unirsi lo zelo per la gloria di Dio: “Se un peccato è di una cattiveria infinita, impedire un peccato è impedire un’ingiuria infinita al mio Dio, al mio buon Padre”.

Risveglio della vocazione sacerdotale


Quando era ancora molto piccolo entrò a scuola, dove apprese le prime lettere. Vivace e intelligente, assimilava tutto con rapidità, in special modo il catechismo e la Storia Sacra. A dieci anni fece la Prima Comunione e, a partire da allora, non smise più di frequentare i Sacramenti. Presto si risvegliò nel piccolo Antonio la vocazione sacerdotale: “Con che fede, fiducia e amore parlavo con il Signore, col mio buon Padre! Io mi offrivo mille volte al suo santo servizio, desideravo esser sacerdote per consacrarmi giorno e notte al suo ministero”.


Lo incamminarono allo studio del latino, ma il corso chiuse alcuni anni dopo e le difficoltà dell’epoca obbligarono il padre a farlo lavorare nella sua piccola fabbrica di fili e tessuti, invece di mandarlo in seminario.

La fabbrica o il sacerdozio?


Come primo compito, riempiva i rocchetti delle navette dei telai. Più tardi diventò capo degli operai, e in questa funzione apprese “com’è vero che si trae maggior profitto trattando gli altri con dolcezza piuttosto che con asprezza e irritazione”.


Tuttavia, egli considera questa fase della sua vita come un periodo di freddezza, per essersi lanciato con impeto nel mondo dei telai, scambiando la sua vocazione con le macchine, disegni e orditi. Nel 1825 si diresse a Barcellona, dove si perfezionò nell’arte della tessitura. Autodidatta, gli bastava analizzare i campioni di tessuti provenienti da Parigi o Londra che già ideava un mezzo di fabbricarli, con risultati identici o migliori. Per tre anni queste questioni occuparono la sua mente al punto da avere, anche durante la Messa, “più macchine in testa di quanti santi c’erano sull’altare”.

Fino a che, come una freccia acuminata a penetrargli il cuore, in piena Messa si ricordò di questo passo del Vangelo: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8, 36). “Mi sono sentito, come Saulo, sulla via di Damasco […]. Si risvegliarono in me i fervori di pietà e devozione”.


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Da certosino a gesuita…


Decise di diventare certosino per fuggire dal secolo, con grande rammarico del padre, che riponeva la speranza dei suoi negozi nel talento del figlio. Tornò a Vic e iniziò gli studi di filosofia, prendendo gusto alla contemplazione, disciplina e penitenza. Verso dove era andato il suo desiderio di essere apostolo e salvare anime? Le vie di Dio non sono umane…

Sulla via della Certosa di Monte Alegre, vicino a Barcellona, si ammalò gravemente e dovette ritornare a Vic. Comprese, allora, che era stato circostanziale il richiamo alla vita contemplativa: “Il Signore mi portava più lontano per slegarmi dalle cose del mondo, e affinché, distaccato da tutte, mi fissassi nello stato clericale”.

Infine, entrò nel seminario e, completati gli studi, fu ordinato sacerdote il 13 giugno 1835. Inviato nella Parrocchia di Santa Maria, nella sua città natale, costituì per sé una rigorosa regola di vita. Senza dubbio, Dio lo incitava a essere missionario. “In molti passi della Santa Bibbia sentivo la voce del Signore che mi chiamava a predicare. Lo stesso avveniva nella preghiera. Così, ho deciso di lasciare la canonica, andare a Roma e presentarmi alla Congregazione di Propaganda Fide per esser mandato in qualsiasi parte del mondo”.

Giunto là, il Cardinale Giacomo Filippo Fransoni, Prefetto della Congregazione, era in viaggio. Padre Claret approfittò dell’attesa per fare con i gesuiti gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola e, dopo averli terminati, rese conto delle sue disposizioni d’animo al padre direttore. Costui lo invitò a entrare nella Compagnia di Gesù: “sono divenuto gesuita dalla notte al giorno”.

…da novizio a missionario e fondatore


Il tempo del noviziato gli fu molto utile: “Lì ho imparato il modo di dare gli Esercizi di Sant’Ignazio, il metodo di predicare, catechizzare, confessare, con grande utilità e profitto”.

Si sentiva molto bene nella Compagnia di Gesù, ma un problema alla gamba lo portò in infermeria e non c’era modo di curarlo. I superiori videro in questo un segno soprannaturale che egli non si trovava nel luogo dove era chiamato da Dio e decisero il suo ritorno in Spagna, incentivandolo a entrare, di fatto, nelle vie delle missioni.

Il Vescovo di Vic, Mons. Luciano Casadevall, lo inviò nel villaggio montuoso di Viladrau, dove cominciò il suo lavoro di conquistare anime al Cielo. Non andava mai in nessun posto senza esserci mandato. E consigliava ai missionari: “Non temete le difficoltà che si presentano o le persecuzioni che si sollevano; Dio ci ha inviati con l’obbedienza, Egli ci proteggerà”. Tale come gli Apostoli, con orgoglio annunciava il Vangelo, espelleva demoni e guariva molte malattie.

Al ritorno da un viaggio di evangelizzazione nelle Isole Canarie, alla metà di maggio 1849, mise in pratica un piano già ben meditato di fondare una congregazione di sacerdoti missionari, nella quale ogni membro doveva essere “un uomo che arde in carità e infiamma dove passa; desidera efficacemente e cerca con tutti i mezzi di accendere nel mondo intero il fuoco del divino amore. Nulla lo spaventa; si delizia con le privazioni; cerca i lavori; abbraccia i sacrifici; si compiace delle calunnie e si rallegra per i tormenti. Non pensa a nient’altro che a come seguirà e imiterà Gesù Cristo nel lavorare, soffrire, e cercare sempre unicamente la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”.

Riunendo nel seminario di Vic cinque altri sacerdoti, e in possesso delle autorizzazioni episcopali, fondò il 16 luglio di quell’anno la Congregazione di Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria. “Oggi cominciamo una grande opera”, affermò.

Ciò nonostante, ecco che meno di un mese dopo il Vescovo lo chiamò e gli consegnò una lettera di nomina alla carica di Arcivescovo di Santiago di Cuba…

Nell’Arcidiocesi di Cuba: amato e perseguitato


Adducendo al fatto di non poter abbandonare la libreria religiosa che dirigeva, come pure la sua congregazione nascente, rifiutò. Tuttavia, ricevuto un ordine formale dal suo prelato di accettare, affidò la piccola comunità a Maria Santissima e, ordinato Vescovo, partì per Barcellona, al fine di continuare verso l’Atlantico in direzione della sua arcidiocesi.

È impossibile narrare qui le avventure del viaggio, in cui ogni sosta serviva da pretesto per predicare, e meno ancora tutto quanto nell’antica Perla dei Caraibi successe in termini di rischi, catastrofi naturali, epidemie, lavori e peripezie missionarie. Egli mise ordine in tutto e la forza della sua parola rasserenava rivolte, moralizzava i costumi e otteneva conversioni in massa. “In sei anni e due mesi ho visitato quattro volte ogni parrocchia”, scrisse.

Per tutto il bene lì fatto, Sant’Antonio Maria Claret conobbe da vicino tanto la gratitudine di coloro che aveva beneficiato quanto l’odio e la persecuzione. Già li aveva provati in Spagna, ma a Cuba quest’ultima arrivò al punto quasi di ucciderlo. Agli inizi del 1856, terminò un focoso sermone, uscì dalla chiesa e camminava per la movimentata Calle Mayor della città di Holguin, quando subì un terribile attentato. Fingendo di voler baciare il suo anello episcopale, si avvicinò a lui un delinquente, con l’intento di tagliargli il collo con una lametta da barba. Siccome, però, egli teneva in quel momento la testa china e copriva la bocca con un fazzoletto, il colpo lo raggiunse al volto, dall’orecchio al mento, e al braccio destro. “Non posso spiegare il piacere, il godimento e la gioia della mia anima nel vedere che ero riuscito in ciò che tanto desideravo: versare il sangue per amore di Gesù e Maria, e poter sigillare col sangue delle mie vene le verità evangeliche”, fu la reazione del santo Vescovo. Qualche tempo dopo si ristabilì dalla profonda ferita, restando, tuttavia, col volto molto sfigurato, e si rallegrava di poter ripetere con San Paolo: “io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6, 17).

Nominato confessore della regina Isabella II, partì da L’Avana per Madrid, nel marzo 1857. Finalmente poté contemplare i progressi della sua congregazione. Esercitò la nuova funzione con totale integrità, senza entrare nelle intricate questioni politiche dell’epoca; ma la sua benefica influenza sulla sovrana e la società diede origine a un torrente di calunnie e persecuzioni, che culminarono col suo esilio in Francia.

Prima, egli era ammirato e persino lodato da tutti; con l’esilio passò a essere disprezzato dall’opinione pubblica: “tutti mi odiano e dicono che padre Claret è il peggior uomo che sia mai esistito e che sono la causa di tutti i mali della Spagna”, arrivò ad affermare.


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Infiammato di carità


Come premio per tanto amore a Dio, gli furono concessi molti favori mistici, tra i quali la previsione di avvenimenti futuri e la permanenza eucaristica: “Il 26 agosto 1861, mentre ero raccolto in preghiera nella Chiesa del Rosario, a La Granja, alle 7 del pomeriggio, il Signore mi ha concesso la grande grazia della conservazione delle Specie Sacramentali, di avere sempre, giorno e notte, il Santissimo Sacramento nel petto; per questo, devo star sempre molto raccolto e devoto interiormente; inoltre, devo pregare e far fronte a tutti i mali della Spagna, come mi ha detto il Signore”.

Anziano, infermo e stanco, ancora ebbe fiato per assistere al Concilio Vaticano I, dove commosse l’assemblea col suo discorso in difesa dell’infallibilità pontificia. Il 24 ottobre 1870, di ritorno in Francia, infiammato di carità e fuggendo dai suoi persecutori, consegnò la sua anima a Dio nel Monastero Cistercense di Fontfroide.

Questo bel passo di un’ardente preghiera da lui composta nel noviziato gesuita riassume la sete di anime che lo ha consumato nel corso di tutta la sua vita: “Come si dirà che ho carità o amor di Dio se, vedendo un mio fratello in necessità, non lo soccorro? […] Come avrò carità se, sapendo che dei lupi voraci stanno sgozzando le pecore del mio Signore, sto zitto? Come avrò carità se ammutolisco quando vedo come rubano i gioielli della casa di mio Padre, gioielli così preziosi che sono costati il Sangue e la vita di Dio stesso, e quando vedo che hanno appiccato il fuoco alla casa e all’eredità del mio amatissimo Padre? Ah! Madre mia, non posso tacere in tali occasioni. No, non starò zitto, anche sapendo che sarò fatto a pezzi […]. E se diventerò roco o muto dal tanto gridare, alzerò le mani al Cielo, si rizzeranno i miei capelli e batterò i piedi per terra per supplire alla mancanza della mia lingua. Pertanto, Madre mia, da subito comincio a parlare e a gridare, e ricorro a Te. Sì, a Te, che sei Madre di misericordia: degnati di soccorrere in così grande necessità; non dirmi che non puoi, perché so che nell’ordine della grazia sei onnipotente. Degnati, io Ti supplico, di dare a tutti la grazia della conversione, poiché senza questa non faremmo niente, e allora

 
SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Autobiografía, n.1. In: Escritos autobiográficos y espirituales. Madrid: BAC, 1959, pp.179-180.
SALA, CMF, Carmelo. Archivo Histórico C.M.F., apud VIÑAS, CMF, José María. Introducción a la Autobiografía. In: SANTO ANTÔNIO MARIA CLARET. Escritos autobiográficos y
espirituales, op. cit., p.153.
SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Autobiografía, op. cit., n.7, p.184.
Idem, n.3, pp.181-182.
Idem, n.8, p.185.
Idem, n.15, p.187.
Idem, n.9, p.185.
Idem, n.11, p.186.
Idem, n.16, p.187.
Idem, n.40, p.195.
Idem, n.34, p.192.
Idem, n.67, p.204.
Idem, nn.69-70, pp.204-205.
Idem, n.93, p.212.
Idem, n.120, p.223.
Idem, n.141, p.231.
Idem, n.152, p.235.
Idem, n.198, p.247.
Idem, n.494, p.327-328.
VIÑAS, CMF, José María. Introducción general. In: SANT’ANTONIO MARIA CLARET, Escritos autobiográficos y espirituales, op. cit., p.19.
SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Autobiografía, op. cit., n.550, p.346.
Idem, n.577, p.352.
SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Documentos autobiográficos. XII - Confesor Real. In: Escritos autobiográficos y espirituales, op. cit., p.460.
SANT’ANTONIO MARIA CLARET. Autobiografía, op. cit., n.694, p.383.
Idem, nn.158-160, p.237.
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