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La visita imprevista.



“Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24, 42).


Ci sono visite tutt’altro che impreviste, perché programmate. E ad alcuni piace avere un’agenda curata molto scrupolosamente. C’è una visita, però, che non ha l’abitudine di farsi annunciare in modo da lasciarsi inserire nei taccuini in anticipo. Arriva all’imprevisto. E parliamo della morte.


Qualche giorno fa, un confratello ha accusato dei dolori alla schiena ed è stato ricoverato per degli esami. Lo chiamo: “Come stai?” – “Sto aspettando la morte!”, mi dice con una certa gioia. Un cancro inatteso con metastasi alla colonna vertebrale… Nel giro di qualche mese sarà a tu per Tu con Dio! Sarà finita per lui la bufera di questo mondo, nella fiducia di una vita consacrata ben vissuta!


Altre morti, invece di essere attese, sono subite, come quella di Lutero o quella di Ario.


La prima è descritta molto bene dal suo cameriere.

Lutero


Lutero non era un amante della vita povera ed austera. Lasciata la vita religiosa e la castità, abitava in adulterio doppiamente sacrilego ed aveva dei domestici. Un erudito francescano di Kleves, in Renania, Fra Enrico, di poco più giovane dell’ubriacone di Eisleben, riporta in uno dei suoi libri la dichiarazione del servo personale di Lutero:

«La sera prima della sua morte, si lasciò vincere dalla sua abituale intemperanza e con tale eccesso che noi fummo obbligati a portarlo via del tutto ubriaco e a coricarlo nel suo letto. Poi ci ritirammo nella nostra camera, senza presagire nulla di spiacevole. All’indomani, noi ritornammo presso il nostro padrone per aiutarlo a vestirsi come d’uso. Allora – oh, quale dolore! noi vedemmo il nostro padrone Martino appeso al letto e strangolato miseramente. Aveva la bocca contorta, la parte destra del volto nera, il collo rosso e deforme… Costoro (i prìncipi suoi convitati) colpiti dal terrore come noi, ci impegnarono subito, con mille promesse e coi più solenni giuramenti, ad osservare il massimo silenzio in quanto nulla fosse fatto trapelare. Ci ordinarono di staccare il cadavere da quel capestro e di metterlo sul letto e di divulgare in seguito al popolo, come il “maestro Lutero” aveva improvvisamente lasciato questa vita» (Seduli, Henrici, Praescriptiones adversus haereses, Antuerpiae, Moretum, 1606, 210).

Anche Ario, l’eresiarca d’Alessandria, fu visitato dall’inatteso a Costantinopoli in un momento in cui insieme ai suoi sostenitori pensava di essere vicino alla vittoria. Secondo Carroll (History of Christendom: The Building of Christendom, 1987), Ario era alto e magro, di aspetto distinto e di belle maniere. Le donne “lo adoravano, deliziate dalla sua cortesia, toccate dal suo aspetto ascetico”, gli uomini erano colpiti dalla sua aura di superiorità intellettuale.

Socrate Scolastico, di Costantinopoli, vissuto nella stessa città poco dopo i fatti, racconta nella sua Storia Ecclesiastica (Lib I, cap. 38) come Ario fu chiamato dall’Imperatore Costantino per spiegarsi sulla non adesione alle determinazioni del Concilio di Nicea. Davanti a Cesare giuro fedeltà “a quanto era stato scritto”, ma sotto il mantello teneva nascoste delle tavolette con alcune sue opinioni eterodosse. Sant’ Atanasio aggiunge qualche dettaglio di questa conversazione: “Se la tua fede è ortodossa, il tuo giuramento è veritiero, ma se hai giurato il falso, Dio ti giudicherà”, avrebbe detto Costantino, il quale (ancora non battezzato!), ignaro dell’inganno, diede ordine al patriarca Alessandro di riceverlo nella cattedrale e di permettere la comunione.

“Era sabato”, racconta la cronaca “quando fu dato l’ordine imperiale”.

Il patriarca Alessandro allora si chiuse nel tempio per pregare: “Signore, perdona la Tua Chiesa! Porta Ario via da questo mondo, poiché col suo ingresso nel tempio anche l’eresia entrerà insieme a lui, e la pietà non dovrebbe essere nello stesso posto insieme all’empietà”.

L’indomani la folla era immensa, all’interno del tempio come nelle strade. Lasciato il Palazzo dell’Imperatore, Ario camminava con orgoglio, circondato dai suoi seguaci. “Ma arrivato sul foro da Costantino e vicino alla statua di Porfirio… le sue viscere furono tormentate da una violenta colica. Chiese dove fossero i bagni, e dopo aver appreso che erano dietro il foro, andò lì. Appena arrivato, la vitalità svanì, gli intestini uscirono fuori con gli escrementi, perse un’incredibile quantità di sangue, gettando fuori anche parte del fegato e della milza”. Così morì Ario. “Ancor’oggi mostrassi questo luogo, come monumento pubblico di una morte tutta particolare”, aggiunge Socrate.

Profeta Michea


L’Angelo che il profeta Michea vide davanti al trono di Dio sembra, quindi, che non sia rimasto senza occupazione dopo aver ingannato Acab affinché, secondo il desiderio dell’Altissimo “muova contro Ramot di Gàlaad e vi perisca” (1Re 22, 20). Nulla giovò ad Acab sottomettere il profeta a “panem tribulationis et aqua angustia”, a scarso pane e a poca acqua, in prigionia. Acab “alla sera morì; il sangue della sua ferita era colato sul fondo del carro… Il carro fu lavato nella piscina di Samaria dove si lavavano le prostitute e i cani leccarono il suo sangue, secondo la parola pronunziata dal Signore” (1Re 22, 35.38).

L’inatteso dunque è dietro l’angolo per tutti e chissà in che modo ciascuno accoglierà la sua visita.

In proposito, don Bosco usava consigliare ai suoi giovani una pratica da esercitare come se di lì a poco si dovesse morire: il pio esercizio della buona morte. Ecco le parole del Santo:

«Tutta la nostra vita, o miei cari giovanetti, dev’essere una preparazione a fare una buona morte.

Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il cosiddetto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre in un giorno di ogni mese tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se di lì a poco dovessimo realmente morire.

Il modo pratico di fare tale Esercizio è il seguente:

Fissare per esso un giorno del mese (l’ultimo giorno di ogni mese);  

— fare fin dal giorno o dalla sera precedente qual che riflessione sella morte, che forse è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all’improvviso; 

pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che vi turbi la coscienza e lasci inquieta l’anima sulla sorte a cui andrebbe incontro se allora dovesse presentarsi al tribunale di Dio;

— e al domani fare una Confessione e Comunione, come si fosse veramente in punto di morte.

Siccome poi potrebbe anche succedere che doveste morire di morte subitanea, o per una disgrazia o malattia che non vi lasciasse il tempo di chiamare un prete e di ricevere i Santi Sacramenti, così vi esorto a far sovente durante la vita, anche fuori della Confessione, atti di dolore perfetto dei peccati commessi ed atti di perfetto amor di Dio, perché un solo di tali atti, congiunto al desiderio di confessarsi, può bastare in ogni tempo, e specialmente negli estremi momenti, a cancellare qualsiasi peccato e aprirci il Paradiso.

Vi esorto pure a fare di quando in quando il proposito d’accettare, per amor di Dio, dalle sue sante mani, qualsiasi genere di morte gli piacerà mandarvi, con tutte le sue angosce, pene e dolori» (“Il giovane provveduto”, don Giovanni Bosco).

Gesù bussa alla porta.


“Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24, 42).

 Autore: Jose Manuel Jiménez

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