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Novena di Natale – Quarto giorno.



I pastori (recitare il 19 dicembre)

La figura del pastore nell’Antico Testamento è piena di poesia e di forza. Nel Nuovo tuttavia sembra addolcirsi, come riportato da San Luca a propositodell’apparizione dell’Angelo ai pastori che vegliavano durante la notte il loro gregge. Tutto sommato possiamo formare il volto morale del Vero ed Unico Pastore usando la forza di tutte e due le interpretazioni.


Cominciamo dall’Antico Testamento. Tra le prefigure di Cristo spicca il Re Davide. Proprio lui, che era un pastore, fu scelto da Dio quale sovrano d’Israele mentre sorvegliava il gregge di suo padre. Ecco il racconto delle Scritture: “Samuele chiese a Iesse:‘Sono qui tutti i giovani?’ Rispose Iesse: ‘Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge’. Samuele ordinò a Iesse: ‘Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui’. Quegli mandò a chiamarlo e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Disse il Signore: ‘Alzati e ungilo: è lui!’” (1Sam 16, 11-12).


A partire da Davide si stabilisce un legame metaforico tra la figura del Re e quella del Pastore. Sovente, il Signore, parlando ai suoi profeti fa riferimento ai governanti chiamandoli proprio “pastori”. Infatti, la missione del re non deve far prevalere una dominazione tirannica ma deve manifestare davanti agli occhi di Dio un’azione addolcita da tenerezza e benevolenza verso le “pecore”, cioè, verso il popolo. Ecco perché con divina didattica Dio volle paragonare il governo umano alla conduzione di un gregge. Il pastore nutre per le pecorelle affezione autentica. Sa, d’altra parte, della loro debolezza e dei nemici che possono recare danni o addirittura la morte ed è pronto a proteggerle. Le pecore, a loro volta, sembrano capire questi sentimenti e corrispondono con docilità alla voce del loro pastore. Si stabilisce in qualche modo un rapporto quasi filiale senza abolire minimamente la differenza gerarchica esistente tra chi comanda e chi è comandato. Allo stesso modo avrebbero dovuto agire i Re di Israele, la cui missione era di somigliare al futuro Messia, che sarebbe stato Re dei Re, ma in spirito di servizio.


Esempio chiaro di quanto appena riportato sono le profezie di Ezechiele, profeta lungimirante che annunciò la venuta del Messia molto tempo prima dell’Incarnazione del Verbo. Nel suo libro, Ezechiele ammonisce i capi d’Israele per essere stati dei malvagi pastori per il gregge del Signore. Su questo sfondo, il profeta prevede un futuro pastore, il Cristo, unto dal Signore, il quale saprà prendersi cura del popolo con autorità e dolcezza, in modo insuperabile.

“Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.” (Ez 34, 11-16)


Nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di San Giovanni, Gesù si identifica con il pastore annunciato dal profeta, e in conseguenza, con Dio stesso, affermando chiaro e tondo la sua divinità: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10, 11-16).


Ecco il perché della presenza dei pastori in quella luminosa notte, nella quale spuntò nel mondo il sole di Giustizia. I pastori erano anime pure, interessate al bene del loro gregge, lontane dalle ambizioni del mondo e dedite ad adempiere con perfezione il loro servizio. Furono scelti da Dio Padre nella notte di Natale per essere testimoni privilegiati della nascita di Gesù proprio per significare che Lui sarebbe stato il Pastore per eccellenza. Per tale motivo furono trattati con dignità regia poiché non solo ricevettero l’annuncio dell’Angelo ma ascoltarono il primo concerto di Natale, tenuto, però, dagli Spiriti Celesti! E in seguito furono introdotti nella grotta di Betlemme e furono accolti con rispetto e simpatia dalla Regina dell’Universo e dal Signore dei Signori.


“C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. (Lc 2, 8-20).

Che i pastori che ammiriamo nel nostro presepe ravvivino in noi il desiderio di purezza nello sguardo, nelle parole e nelle azioni e ci ricordino di cercare la perfezione nell’adempimento delle nostre occupazioni quotidiane.



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